"A raven-haired lady appeared ...". Detail from The Lady of Shalott Looking at Lancelot (1894) by J. W. Waterhouse |
Mi risveglio disteso su una spiaggia, Quintus. Non so da quanto sono rimasto qui e perché. Il rumore delle onde si mischia con lo stormire degli alberi intorno.
Sta calando la notte. Stordito, mi avvicino all'acqua.
La luna sorge dal mare e mostra il suo disco pieno e benigno. Immergo sette volte il capo nell'acqua per purificarmi.
Quindi invoco il nome della Dea che governa l’universo:
Full moon rising from the ocean. Click for credits |
Tu Luna,
luce feminea conlustrans cuncta terrarum,
iam nunc extremis subsiste,
et pausam pacem, Regina, tribue.
Tu Luna,
che con luce femminile rischiari ogni terra,
aiutami nell'ora estrema,
e concedimi, Regina, pace e riposo.
Ed ecco che la notte incipiente sembra rivelare per un attimo i suoi silenziosi segreti.
Scorgo dei giovani avvicinarsi in lontananza. Non appena li distinguo meglio mi rendo conto che sono romani, con calzari e tuniche romane! Il mio cuore esulta Quintus! Dopo mesi vissuti tra i selvaggi mi trovo finalmente in un’area controllata dai Britanni! Non sono troppo diversi da noi e soprattutto dai nostri compagni di Albien, anche se i nostri amici sono ormai un po’ italianizzati.
Conducono un giovane incappucciato e bendato di cui non si scorge il viso. Vestito alla maniera degli Angli, ha le braccia legate dietro la schiena.
Due graziose fanciulle, i capelli biondi raccolti a treccia sopra la fronte, mi si accostano e mi prendono per mano. Il loro aspetto è nordico, quasi nebbioso, e tuttavia, schietto e ispirato, mi comunica un senso di pace.
Il suono di un corno echeggia nella sera. Tutti si voltano e si incamminano in direzione di un bosco che si scorge in lontananza su un'altura che domina la spiaggia.
Girando dietro all’altura e procedendo lungo uno stretto sentiero mi rendo conto a poco a poco di avvicinarmi al terreno di una grande proprietà romana, con campi ordinatamente coltivati, anche se i fasti del luogo sembrano ormai un ricordo del passato.
La proprietà è fortificata con una palizzata in legno e un vallo. Guardie armate ne pattugliano il perimetro.
"A path between a double row of willows...". Click for credits and to enlarge |
Veniamo ammessi nella proprietà e, percorso un viale tra una doppia fila di salici, giungiamo all'edificio centrale costruito in solidi blocchi di pietra. La costruzione è in parte sfaldata e le parti mancanti sono state sostituite con solidi tronchi. Pietra e malta sembrano arti dimenticate in quest'isola all'estremo del mondo.
L’alta porta a due ante si apre cigolando sui cardini. Superato il vestibolo siamo all'interno di un maestoso peristilio quadrangolare attorno al quale sono disposte le stanze dell'edificio principale.
A peristylium, again from a painting by John William Waterhouse. |
Anche qui noto i segni del tempo. Molte colonne, e il tetto stesso del portico, sono rifatti in legno anche se nell'insieme l'aspetto è gradevole e denota cura e amore. Il lato estremo del peristilio si apre sul bosco di betulle, sorbi selvatici, salici e frassini che avevo già intravisto dalla spiaggia e da cui si gode una magnifica vista sul mare.
Al centro del bosco vi è un'ara, non quadragolare come le nostre, bensì circolare, alla maniera celtica.
Tutti si dispongono a cerchio intorno all’altare. Di fronte ad esso, in direzione del mare, è collocato un baldacchino, come un trono. Ed ecco, tra canti, il suono dolce dei flauti e il tintinnio acuto dei sistri, avanzare un corteo di giovani di entrambi i sessi dalle tuniche di lino immacolato.
Sacrifice Rock at Maria Taferl, Austria. The altar was used by the ancient Celts to make sacrifices upon. |
Essi precedono una dama dai capelli nero corvini il cui viso è celato da un velo. Essa avanza con passo lento e sacrale. Oltre ai capelli scorgo solo la fronte bianchissima e gli occhi scintillanti, d'un verde marino.
La signora, certo la proprietaria della casa, si pone nobilmente a sedere sul baldacchino di legno. E’ notte fonda. Il bosco è illuminato solo dalle torce e dall’astro della luna piena ormai alta nel cielo.
Gli astanti bevono da coppe in ceramica che trovano su tavolini in legno intarsiato disposti lateralmente.
Le due fanciulle si accostano a me e all'uomo incappucciato e ci porgono coppe di legno. Una aiuta l'uomo legato a bere. L’altra mi porge la ciotola che comincio a sorseggiare. E' un liquore dallo strano sapore, non del tutto sgradevole.
"Perché le nostre coppe sono in legno?" le chiedo in latino.
"C’è un motivo in ogni cosa. Non chiedere, romano" essa risponde.
Alla gioia nell'udire di nuovo la mia lingua si sovrappone il dubbio su ciò che sto bevendo e soprattutto la percezione di una strana tensione nell'aria, come se qualcosa stia per accadere.
Ora le due fanciulle non badano più a noi. Le mani giunte, sono assorte in preghiera.
La musica tace. Lo sguardo di tutti è volto in direzione del baldacchino.
La donna è assisa sul trono. Il sottile tessuto della tunica mostra, più che coprire, un corpo dai fianchi solidi e dai seni turgidi che sembrano impazienti alla costrizione del lino. Il fascino che essa emana si irradia con splendore crescente.
La musica riprende con l’aggiunta delle percussioni. Si fa presto incalzante. I presenti ne vengono contagiati. Accennano a movimenti ritmici del corpo.
Alla fine la donna si leva in piedi e con il volto fiero, sollevate le braccia in direzione dell’astro notturno, così esclama:
O regina del cielo,
che sorridi benigna al mondo dei mortali.
O divina, che con qualsiasi rito,
con qualsiasi nome è lecito invocarti,
sia esso Venere, Diana, Iside o Brigantia.
Te, divina, le genti della verde Albien
invocano nell’ora dell’avversa fortuna.
Tu che le vette luminose del cielo
o i silenzi oscuri degli inferi
con un cenno governi:
noi ti invochiamo, regina immortale!
Noi te chiamiamo con voce supplice!
Accetta i nostri doni, o divina signora,
e guidaci, madre di tutti gli universi!
Poi la donna si toglie velo e parrucca e mostra le sue vere sembianze.
Sento il cuore perdere colpi. Le inconfondibili chiome rosse fuoriescono rigogliose, in parte sciolte in parte intrecciate con cordicelle e nastri. La rossa selvaggia, guerriera formidabile, e la meravigliosa signora della casa sono dunque la stessa persona!
Lei mi guarda con un misto di trionfo e di dolcezza. Poi si slaccia la tunica e appare nuda, il corpo muscoloso e ben proporzionato offerto alla vista di tutti.
Un turbinio di sentimenti mi impedisce di rendermi conto che mani robuste afferrano sia me che l'uomo incappucciato e ci tengono inchiodati.
Adesso gli occhi verdi della maga mandano lampi e le sue sembianze iniziano a mutare …
[la mia visione era distorta, Quintus, non so se ciò sia realmente accaduto]
… aquila maestosa e altera … cerva dagli occhi umidi … segugio tenace e nervoso … felino dagli occhi grigi, enigmatici.
E poi cane ancora, e gatto di nuovo, gatto bianco, eppoi nero, infine gatto rosso striato dagli artigli che scintillano e dagli occhi sornioni.
Alla fine, riacquistate le fattezze umane, la donna schiude le mani e un rospo le sguscia dalle dita e le salta sul seno. Sulla testa bitorzoluta della creatura vi è un diamante, una gemma così luminosa che non posso non fissarla, ipnotizzato. Il diamante prende a crescere. E cresce, cresce, e diventa così grande e accecante che perdo la coscienza di me.
Mi ritrovo legato a pancia in giù su un’impalcatura di legno collocata sull’altare circolare. Una postura a dire il vero disonorevole poiché, non avendo più indumenti, il mio didietro è offerto alla vista di tutti.
Accanto a me, legato ed esposto allo stesso modo, è il giovane a cui hanno tolto cappuccio e benda. Il suo corpo muscoloso mi ricorda qualcuno. Lo guardo meglio e riconosciutolo di colpo grido stupefatto:
“Qwil!! Cosa ci fai qui!!”
“Faccio quello che fai tu: offro le chiappe al vento”
“Ma quando sei arrivato in Britannia? “
“Quando siamo arrivati. Da più di un mese.”
“Cosa? Vuoi dire ….?”
“Che gli amici sono qui con me, a parte Quintus. Sono Britanni in fondo. Volevano ritrovarti e allo stesso tempo lottare per la patria in pericolo. Ti abbiamo cercato per settimane. Poi Pavlos, un mercante greco che ha informatori in tutto il paese, ti ha localizzato, anche se il luogo esatto ancora ci sfuggiva. L’ho scoperto oggi grazie ad uno stratagemma …”
“Per questo eri vestito da Anglo?”
“Beh, essendo di razza germanica e cavandomela con la lingua locale, sono sgattaiolato fuori dalla taberna dove ci rifocillavamo (e che trovavo noiosa) e rubati dei vestiti ho cominciato a fare domande in giro. Le voci corrono. Ma in un bosco non lontano dalla tua torre …. AHHHH!”
Il grido di Qwil interrompe il racconto. Una sferzata gli ha rigato di traverso le natiche.
Mi giro. Dietro di noi, in piedi, vedo tre donne. Hanno il seno scoperto e stringono nella mano destra fasci di rami di betulla. La prima, quella che ha colpito Qwil per prima, è una vergine. Alla sua destra è una madre il cui acre odore di latte penetra le narici. Infine una vecchia, dagli occhi vaticinanti. Il colpo si ripete, questa volta inferto della madre, che picchia più duro. Poi è il turno della vecchia, non meno vigorosa delle altre. Qwil, non più sorpreso questa volta, stringe i denti e non emette alcun gemito.
“Ho una vaga idea del perché ci stiano facendo questo” dico.
“Anch’io. E’ un sacrificio, temo. E non mi pare difficile capire chi siano le vittime prescelte”.
I colpi continuano ad abbattersi sempre sul sedere di Qwil e giungono al numero di nove. Le donne colpiscono sempre a turno, con calma, seguendo i gesti di un rituale antico. Non è mai possibile prevedere quando il colpo successivo sta per arrivare.
Dolce far Niente (1880) by John William Waterhouse (Roma, 1849 – Londra, 1917) |
Adesso è il mio turno. Stringo i denti. E’ di nuovo la vergine a colpire. Il dolore è lancinante, e anch’io mi sforzo di non emettere gemiti. Mi giro a guardare la giovane donna e rimango sbalordito perché mi sembra di riconoscerne i lampi verdi dello sguardo. Ma che diavolo di stregoneria è mai questa?
Le sferzate continuano ad abbattersi sulle mie parti sensibili fino a raggiungere anch’esse il numero di nove. Poi odo la strega frusciarmi dietro, accostarmisi e sussurrarmi all’orecchio mentre mi accarezza i capelli: “Ora tu vieni con me, soldato. E' ora di chiarire alcune questioni”.
Slegato ma tenuto sempre inchiodato da mani robustissime, vengo sospinto dietro alla maga. Usciti dal bosco raggiungiamo il maestoso peristilio quadrangolare, nel cui giardino centrale erbe, fiori e vasche sono disposti con elegante simmetria. Giungiamo ad una bella stanza che si affaccia sul colonnato e il cui pavimento a mosaico ritrae una scena boschiva, con Diana cacciatrice e due ninfe ai suoi fianchi, tre figure dalle perfette proporzioni, con gambe, braccia e seni scoperti, i capelli sciolti al vento. Le pareti sono affrescate con delicati motivi floreali che fanno da sfondo a scene in cui ninfe, satiri e umani si rincorrono nei boschi e con gli amorini affaccendati a recar gioia e tormento a tutti. Di fronte, un letto elegante di legno finissimo intarsiato d'avorio, tartaruga e oro.
ψ
La tenda del cubicolo si chiude dietro di noi proprio mentre esclamo:
“Qwil, il giovane che era legato accanto a me, va assolutamente liberato. Non è un Anglo, ma un romano, come me e, forse, te”.